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Le dittature e una frase del premier, contestati i temi della Maturità
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1. Le dittature e una frase del premier, contestati i temi della Maturità
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da Il Corriere della Sera
19 giugno 2003

Fassino: culto della personalità. Buttiglione: legittimo citare il capo del governo. Fa discutere il «Libro nero del comunismo»

Le dittature e una frase del premier, contestati i temi della Maturità

Al via la Maturità: la citazione di un discorso di Berlusconi nel tema sull’acqua scatena le reazioni dell’opposizione. Fassino: «Sindrome di Ceausescu». Ma Buttiglione: «Legittimo citare il capo del governo». Scontro anche per la traccia sui totalitarismi, con un brano del «Libro nero del comunismo».

LA MATURITA’ / LA POLEMICA
Esame di Stato, scontro su una frase di Berlusconi

Proteste per una citazione da un discorso del premier nel tema sull’acqua. Reazioni anche per la traccia sui totalitarismi


ROMA - Passa anche per i temi della maturità, l’ultima polemica fra maggioranza e opposizione. Ed è una polemica forse solo beffarda nei toni, ma estremamente dura nei contenuti. Al centro dell’arena, ancora una volta, Silvio Berlusconi. Non per qualcosa che ha detto o fatto, ma per via di una citazione di un suo discorso finita in una delle tracce dei temi. Una frase innocua, di per sé, un brano di una prolusione tenuta dal premier nel 2002, per la Giornata mondiale dell’Alimentazione. «Affinché vi sia cibo occorre che vi sia acqua - aveva detto quel giorno Berlusconi -. E’ quindi fondamentale investire per garantire la disponibilità e l’uso efficiente delle risorse idriche, in un indispensabile contesto di salvaguardia ambientale». Ma il fatto di aver scelto proprio una frase del Cavaliere per illustrare il tema sull’acqua (scelta peraltro lodata da Wwf e Legambiente) ha scatenato nel giro di poche ore un autentico putiferio. Primo a partire, il segretario Ds Piero Fassino, che accusa la maggioranza di soffrire di una «sindrome di Ceausescu». Seguito a ruota dal capogruppo di Rifondazione alla Camera Franco Giordano, che invece preferisce definire Berlusconi «emulo di Kim Il Sung». Mentre Oliviero Diliberto, segretario dei Comunisti Italiani, dopo aver chiesto le dimissioni del ministro Moratti, ricorda che «solo con Mussolini si era arrivati a tale culto della personalità». La Cgil invece rievoca il Minculpop, il senatore Verde Fiorello Cortiana parla di «un delirio da culto della personalità». Da «presidente operaio a presidente intellettuale», ironizza poi Alba Sasso dei Ds. Mentre il coordinatore della Margherita Dario Franceschini sceglie di rispolverare un vecchio slogan del ’68: «Una risata li seppellirà».
A peggiorare le cose, un altro dettaglio colto però solo da pochi polemisti: nel tema dedicato al terrore e alla repressione politica nei sistemi totalitari del ’900, fra i brani scelti ce n’era anche uno di Courtois tratto dal «Libro nero del comunismo», libro di culto del Cavaliere, che ne aveva regalate 5 mila copie al congresso di Alleanza Nazionale di Verona, nel ’98. Per un errore di punteggiatura poi (a far precipitare ulteriormente la situazione) nella medesima traccia i sei milioni di ebrei sterminati nei campi nazisti venivano mescolati genericamente alle vittime della guerra anziché figurare fra le vittime dell’Olocausto. Il più duro è lo storico Nicola Tranfaglia, che parla di «visione unilaterale del ’900». Un secolo, dice, «in cui il fascismo non avrebbe commesso nessun delitto, dove persone come Matteotti e Rosselli non sarebbero mai esistite. E dove si attribuisce al nazismo solo il massacro per eutanasia di 70 mila tedeschi, e si classificano i 6 milioni di ebrei come vittime di guerra». Ma nella traccia, oltre che dei crimini staliniani e delle dittature del dopoguerra, si parla per la prima volta anche delle foibe, scelta che ha ricevuto l’applauso del neo-governatore del Friuli-Venezia Giulia Riccardo Illy: «Se vogliamo che fatti come quelli non si ripetano, l’unico modo è quello di renderli noti».
Molti, come il diessino Andrea Ranieri, il leader dell’Udc Marco Follini e il suo capogruppo Luca Volonté, addebitano la «gaffe della citazione berlusconiana» alla solerzia di qualche funzionario ministeriale. «Un’imperdibile occasione per compiacere chi governa», dice Ranieri, mentre Follini minimizza: «Quando c’è troppo zelo chi dovrebbe esserne avvantaggiato finisce per esserne danneggiato». Tentativo di conciliazione minimalista anche dal ministro delle Politiche comunitarie Rocco Buttiglione: «Non è una questione di cui occuparsi, e comunque non c’è nulla di squalificante a citare il capo del governo che è stato eletto dagli italiani».
La reazione della maggioranza naturalmente non si è fatta attendere. Ed è stato tutto un restituire al mittente improperi, battute e citazioni. Franco Asciutti di Forza Italia definisce la polemica «la solita cagnara della sinistra che dietro alle urla e alla disinformazione non ha nulla», Isabella Bartolini (anche lei Forza Italia) difende la scelta del ministero: «Sinceramente non vediamo dove sia lo scandalo. Si tratta di osservazioni profonde, giuste, condivisibili su cui svolgere ragionamenti e proposte».
Tace invece il ministro Moratti che, rivelano i suoi collaboratori, aveva scelto le tracce già 3 mesi fa. In molti le chiedono di presentarsi alle Camere per spiegare le sue scelte. E probabilmente lo farà.

Giuliano Gallo ggallo@corriere.it

FERDINANDO ADORNATO


«Sinistra contro i mulini a vento»

Il presidente della Commissione cultura: «Allora vietiamo Erasmo perché piace al Cavaliere»


ROMA - «Pensare che ci sia la Casa delle Libertà che suggerisce le tracce ai tecnici del ministero è segno di un’ossessione paranoica nei confronti di Berlusconi che qualsiasi psicanalista potrebbe tranquillamente certificare». Un lungo passato a sinistra, oggi Ferdinando Adornato è deputato di Forza Italia e presidente della commissione Cultura della Camera. L’opposizione protesta perché come documento allegato a una delle tracce c’era un passo del Libro nero del comunismo , testo caro a Berlusconi.
«Ma soprattutto un testo più che calzante. Il tema era sul totalitarismo: la sinistra pensa forse che il comunismo non sia stato un regime totalitario? Con questa convinzione non supererebbero non dico l’esame di maturità, me nemmeno quello di terza media. Allora bisognerebbe proibire anche L’elogio della follia di Erasmo da Rotterdam, altro libro che Berlusconi cita spesso. Anzi, la sinistra faccia un bell’indice dei titoli vietati. Così si regola il ministero, le case editrici, le librerie, ci regoliamo tutti».
E le parole di Berlusconi allegate al saggio sull’acqua?
«Anche qui la sinistra sta combattendo contro i mulini a vento. Fosse stato un testo che conteneva delle valutazioni politiche, avrei anche capito. Ma quelle sono parole condivisibili da tutti, parole che fanno riferimento a valori universali dell’umanità. Del resto Berlusconi è il nostro presidente del Consiglio, una figura istituzionale prima che politica. E la sinistra si deve rassegnare».

L. Sal.

FRANCESCO D’ONOFRIO


«Ministro, riferisca in Senato»

L’ex responsabile dell’Istruzione: «Vorrei capire le ragioni che hanno indotto a scegliere questi temi»


ROMA - «Avrei piacere che il ministro Moratti venisse in Senato ad illustrare le ragioni che l’hanno indotta a scegliere tra le tracce degli ispettori quelle che sono state alla fine inviate agli studenti». Francesco D’Onofrio, ministro dell’Istruzione dal maggio ’94 al gennaio ’95, oggi capogruppo dell’Udc a Palazzo Madama, rompe il suo lungo riserbo sui temi della scuola e interviene nella polemica delle tracce di italiano della maturità sollecitando un dibattito parlamentare. Qual è il suo giudizio sui temi?
«Preferisco astenermi da qualunque polemica di principio perché non vorrei che questioni di straordinario rilievo vengano trattate solo a colpi di clava sia da parte di chi difende il ministro dell’Istruzione che da parte di chi lo attacca. Non vorrei la Moratti al Senato col saio dell’accusato, ma ritengo che il Senato sia il luogo giusto per un esame sui criteri di scelta dei temi. La materia merita un grande dibattito parlamentare».
Lei, da ministro, avrebbe passato quelle tracce?
«Nel giugno ’94 aggiunsi una proposta a quelle suggerite dagli ispettori, ispirandomi molto alla cultura del dialogo e della tolleranza. Mi sembrava ingiusto che il governo Berlusconi, appena nominato, venisse contestato proprio su quei temi. Non mi meraviglio che ci sia polemica sulle tracce della maturità perché lo scontro tra la maggioranza della Casa delle Libertà e il centrosinistra è soprattutto uno scontro culturale. Per queste ragioni oggi occorre avere una sensibilità particolarmente forte nell’affrontare questi temi».

G. Ben.

Affetti familiari, poesia, totalitarismi e ambiente

ROMA - Affetti familiari, poesia, totalitarismi e ambiente. Questi i temi più gettonati (praticamente alla pari) dai 481 mila ragazzi che ieri hanno affrontato la prima prova scritta della maturità. Non si segnalano violazioni della segretezza delle prove. Nessuno studente è stato sorpreso con telefonini o computer. Ma solo oggi, con la versione di greco o latino e il compito di matematica, sapremo se ministero e polizia postale sono riusciti a blindare l’esame di stato conclusivo del corso di studi.

I PREFERITI - I candidati ancora una volta hanno preferito il saggio breve o l’articolo di giornale. L’opzione per la tipologia di tema più concisa, con l’utilizzo di un breve corredo di documenti, è stata esercitata dal 62,6 per cento dei candidati. Un anno fa si era arrivati al 59,5 per cento. Al secondo e terzo posto della graduatoria delle scelte, l’analisi del testo e il tema di ordine generale, rispettivamente al 15,5 per cento e al 13,4 per cento. Da ultimo il tema storico, da sempre poco frequentato per la sua difficoltà, che vede comunque crescere dall’1,3 all’8,5 per cento il suo seguito. Ma la storia è protagonista anche nella terza traccia proposta per il gettonatissimo saggio breve: un excursus sui totalitarismi nel secolo appena trascorso, dal fascismo fino alle ultime denunce di Amnesty International, che - dicono gli esperti - ha messo a dura prova la preparazione dei candidati.
La poesia ritorna in forze anche in questa edizione della maturità Moratti, quella con i commissari tutti interni, giunta ormai al suo secondo appuntamento. Lo scorso anno sono stati i versi di Carducci, D’Annunzio, Saba e Sbarbaro - che illustravano il paesaggio natio - a conquistare i ragazzi. Stavolta gli studenti si sono per lo più divisi: da una parte i versi che autori come Foscolo, Ungaretti, Montale, Saba, Raboni e Orelli hanno dedicato agli affetti familiari; dall’altra un interrogativo sul ruolo della poesia - «E’ ancora possibile in una società delle comunicazioni di massa?» -, l’analisi dei totalitarismi e un tema ambientale d’attualità: «L’acqua risorsa e fonte di vita».


LA VIGILANZA - La vigilanza esercitata dai docenti interni durante la prima prova non ha colto nessun ragazzo con il telefonino in tasca durante lo svolgimento del tema. Chi non l’aveva lasciato a casa, è stato invitato in modo perentorio - in molti istituti sono stati affissi dei cartelli che ricordavano il divieto - a lasciarlo sulla cattedra. Nel liceo Mamiani di Palermo più di 70 studenti hanno deposto il cellulare sui banchi dopo essere stati informati dal preside del rischio di espulsione. Quest’anno la prevenzione è stata più forte, anche per far fronte all’evoluzione della tecnica. Tuttavia, dopo l’apertura delle buste - la maturità perde la sua validità solo se la fuga dei temi avviene prima - Internet è stato attraversato da un certo numero di messaggi che annunciavano in modo sintetico gli argomenti delle prove. La prima anticipazione è apparsa intorno alle 9.30 sul sito di Radio Capital. Alle 9.38 è stata la volta di Studenti.it, il portale più frequentato dai ragazzi. Dopo mezz’ora dall’inizio delle prove erano note quasi tutte le tracce.


IL 709 - Da due a sette euro al minuto per navigare sui siti della maturità alla ricerca di rivelazioni e dritte improbabili. Il «709», il numero nato come servizio aggiuntivo destinato solo a particolari navigazioni in rete e utilizzato poi in modo illecito su spazi web ordinari, sta mietendo vittime tra gli studenti. A lanciare l’allarme è la Polizia postale che da mesi tiene sotto controllo oltre 35 siti dedicati ai maturandi. I ragazzi, una volta entrati in rete, si trovano davanti ad alcune avvertenze poco chiare che spesso non leggono neppure nella fretta di arrivare al risultato. Se lo facessero saprebbero che il sito connette automaticamente la loro chiamata al «709», una numerazione con tariffe assai più care. Un illecito amministrativo per il quale la polizia postale ha già inviato i primi verbali ai gestori, che prevedono una sanzione di 51.644 euro.


SECONDA PROVA - Stamani seconda prova scritta: latino al liceo classico, matematica allo scientifico, lingua straniera al linguistico e via continuando con una materia diversa per ogni corso di studi. Oggi la tentazione di portare con sé il telefonino si farà sentire ancora. I ragazzi però sanno che il rischio è molto elevato: chiunque verrà sorpreso, concluderà il suo esame di maturità in quel preciso istante.


Giulio Benedetti


La sacralità dell’acqua

di GEMINELLO ALVI


Il titolo ha il pregio d’essere almeno breve. E però non lo è abbastanza per un argomento sterminato che a prenderlo sul serio rischia di sgomentare o affogare persino la più fantasiosa delle menti. Considerato che i brani dei documenti acclusi badano all’acqua in quanto risorsa e ne spiegano l’importanza per l’ambiente, era senz’altro meglio concentrarsi su questa sola idea. E titolare magari «L’acqua nel ciclo delle risorse». Giacché così si sarebbe data agli esaminandi, degli studenti di materie tecniche o scientifiche, la possibilità di descrivere non solo i sommi guai che affliggono il mondo. Ma fors’anche di narrare qualche esperimento tutto loro dei vari cicli dell’acqua. L’esperimento di una pozzanghera sotto casa o dello stagno dove da ragazzi si tormentano le rane. Quella fonte di vita aggiunta al titolo risulta invece fuori luogo: pare ripresa dalla messa. E tuttavia corrisponde al fatto che le risorse e quindi anche l’acqua sono ormai il più sacro degli argomenti. Tutto quanto è ridotto in forma economica di valori o risorse è sacro in quanto serve l’uso; sia ecologico o finanziario non cambia molto. Ecco quindi la ridondanza del titolo spiegarsi e divenire anzi ovvia. Anche se è un bene che s’insegni a capire che non esistono solo i valori monetari ma anche i flussi degli elementi e dell’acqua. I documenti acclusi in «indispensabile contesto di salvaguardia ambientale» sono peraltro banali. Un non dire dicendo quanto si deve dire, a cui però qualche esaminando forse non ha badato. Magari si è perduto a parlare dell’acqua, con furia estetica o mistica. Andando fuori tema. Eppure io spererei che qualche giovane di uno sperduto istituto per geometri abbia scritto dell’acqua di vita o della vita dell’acqua.

Quegli affetti
orfani del padre

di PAOLO DI STEFANO


Certo, presi singolarmente i testi proposti sono splendidi. Non si discute. Con scelte anche sorprendenti, come Raboni e Orelli. E con due lacune gravi. La prima è l’assenza di una voce femminile (si pensi alla Rosselli o alla Merini). La seconda è un lapsus freudiano, si direbbe. C’è da chiedersi come mai, da una traccia sugli «affetti familiari», sia rimasta fuori la figura del padre (presente solo, indirettamente, nella poesia di Raboni alla figlia). Allo stesso Raboni, del resto, si deve una delle più commoventi poesie al genitore: «Ho gli anni di mio padre - ho le sue mani / quasi: le dita specialmente, le unghie, / curve e un po’ spesse… »(La guerra). E come dimenticare Camillo Sbarbaro: «Padre, se anche tu non fossi il mio / padre, se anche fossi a me estraneo, / per te stesso, egualmente t’amerei». Ma ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta, anche volendo restare nel Novecento italiano: Gatto, Saba, Sinisgalli, Valduga. Insomma, il ministero sembra aver sancito quel che già si sospettava: non solo la crisi della figura paterna, ma la sua definitiva estromissione (con la sua autorevolezza d’antan) dalla famiglia d’oggi. Il candidato avrebbe semmai potuto sviluppare questo argomento. Senza dire che il sonetto foscoliano è un’opera sull’esilio, in cui la figura del fratello, morto suicida per debiti di gioco, è sì l’immagine del dolore, ma soprattutto diviene metafora di una lontananza esistenziale. La chiusa orelliana è impareggiabile: «Ma tu di fuorivia, non spaventarti, / non spaventare il figlio che maturi». Ed è giusto che compaia anche il motivo dell’attesa. Il tema dell’amore per la donna, sia pure declinato in chiave leggermente diversa, compare sia in Saba sia in Montale. Forse poteva bastare una sola volta. Mentre, a Ungaretti si poteva forse affiancare il Caproni delle poesie ad Annina, madre giovinetta, più luminosa e al tempo stesso più inquietante. Infine, l’immagine di Michelangelo appare più come una trovata che come una tessera davvero pertinente.

Il Novecento:
storia confusa

di GIOVANNI BELARDELLI


Riguardo al tema storico, difficilmente studentesse e studenti avrebbero potuto essere meno fortunati. Non per l’argomento in sé, forse difficile ma certamente molto rilevante e non impossibile da affrontare. A lasciare interdetti è invece l’insieme di dati e citazioni che, nelle intenzioni del ministero, avrebbero dovuto aiutare gli studenti nella trattazione. Lasciamo da parte le imprecisioni (il fascismo non inviò «centinaia» di oppositori al carcere e al confino, come qui si legge, ma alcune migliaia). E’ assai peggio che si suggerisca allo studente di prendere in considerazione non solo i regimi fascista e nazista e quelli comunisti, ma anche fatti e Paesi che con l’argomento del tema c’entrano poco o nulla. Così le foibe istriane sono messe accanto all’Algeria, citata evidentemente in relazione alle stragi provocate dal fondamentalismo islamico. E la dittatura militare di Pinochet è richiamata soltanto perché, viene da pensare, gli esperti del ministero considerano (erroneamente) «totalitarismo» e «dittatura» come sinonimi. In tal modo, ciò che si comunica agli studenti finisce con l’essere proprio il contrario di quel che la scuola dovrebbe insegnare: li si spinge infatti a fare di ogni erba un fascio, a non distinguere tra fenomeni diversi (tra la Germania di Hitler e la ex Jugoslavia, anch’essa impropriamente citata), a sostituire alla trattazione di fenomeni precisi qualche osservazione generica e retoricamente deprecatoria. Infine, è strano che si sia inserita una citazione proprio dal Libro nero del comunismo : un testo che certo è stato ingiustamente demonizzato da tanti studiosi di sinistra, ma che comunque non è il migliore tra quelli che la letteratura sull’argomento ha prodotto. A meno che qualche funzionario del ministero non abbia pensato di dare in tal modo al tema storico un tocco, diciamo così, «di destra».

La lunga marcia della democrazia

di ARTURO COLOMBO


Il tema di argomento storico è bello e impegnativo; ma adatto a licei e scuole superiori che non mi sembra siano oggi particolarmente diffusi. Infatti, mi chiedo quanti sono gli insegnanti che illustrano sul serio i diritti umani, e quanti gli allievi che ne conoscono origini e sviluppi (salvo quei pochissimi che hanno letto L’età dei diritti di Norberto Bobbio). Affrontare con un minimo di conoscenze sicure il passaggio dalla cittadinanza «anagrafica» (quella, cioè, che corrisponde allo Stato di appartenenza di ognuno di noi) alla cittadinanza «planetaria» (che meglio sarebbe stato definire cittadinanza «cosmopolitica», nel senso di un futuro, auspicabile diritto a essere «cittadini del mondo») significa saper ripercorrere la lunga marcia dei diritti umani e spiegare - con esempi concreti - come l’effettivo esercizio di questi diritti rimarrà debole, precario, spesso impossibile, fin tanto che non saranno operanti sul Pianeta Terra due altre conquiste, indispensabili e complementari: la democrazia e la pace. Ecco perché, a evitare discorsi generici (e «buonisti»), occorreva inserire precisi riferimenti sia alla storia dell’Occidente (dove le esperienze autoritarie e totalitarie del ’900 hanno «bloccato» il diffondersi dei diritti umani), sia alle vicende tragiche dei paesi del Terzo Mondo (Africa, America Latina ecc.), dove la povertà, la fame, lo sfruttamento continuano a fare da disastroso freno a quello sviluppo economico-sociale, che reclama una partecipante responsabilità di tutti, e quindi una crescita democratica. Non solo: come è possibile che questi diritti umani si diffondano dovunque - come esigeva già la «Dichiarazione universale», votata dall’Onu nel 1948 - se terribili focolai di guerra incendiano tante parti del mondo, a cominciare dal Vicino Oriente?

La sottocultura dell’immagine

di SANDRO MODEO


Non è «un» tema. E’ «il» tema, perché invita lo studente a specchiarsi senza mediazioni: a vedersi come homo videns , sottoposto a una «radiazione di fondo» (tv-cinema-computer) che determina acquisizioni e perdite su due livelli. Su un livello neurofisiologico, la forma mentis visiva acuisce il sistema di apprendimento cosiddetto «senso-motorio», quello più antico dal punto di vista dell’evolutivo: non a caso, certi studi dimostrano come i videogame facilitino di molto, per esempio, l’introiezione degli schemi e delle situazioni alla guida di qualsiasi mezzo. Una simile acuizione, però, comporta anche il sottoimpiego dell’altro sistema di apprendimento, quello simbolico, più controintuitivo e posto alla base di «astrazioni» come la coscienza, il dubbio, il senso o il nonsenso delle cose. In una parola, del «pensiero critico». Siamo così al livello psicologico, dove lo stesso rapporto tra acquisizioni e perdite si fa ancora più evidente e drammatico. Perché se l’onninvadenza dell’immagine facilita il flusso delle informazioni e dei loro nessi, produce anche un impoverimento affettivo-emotivo, come dimostra l’assuefazione al dolore che proviamo davanti alle atrocità di guerra, perfettamente contigue rispetto a qualunque spot. Di più: produce quello che Baudrillard ha chiamato «il delitto perfetto»: la sostituzione della realtà con la sua rappresentazione (tanto più mortificante se censurata o affatturata, come si è visto nel conflitto iracheno). Qui il processo diventa politico. Ci si può intrattenere all’infinito su come questo «delitto» abolisca ogni possibile distinzione tra Verità e Menzogna, e magari trovarvi anche aspetti seduttivi. Ma una cultura dell’immagine di questo tipo è quanto di più funzionale al potere e alle sue tecniche di persuasione. Privata di una cultura del concetto e dell’idea, si può ben dire che la cultura dell’immagine incarni, in tutti i sensi, l’immagine della nostra cultura. Anzi, della nostra sottocultura.

Una società senza poeti

di GIORGIO DE RIENZO


Non si capisce perché la domanda se «è ancora possibile la poesia nella società delle comunicazioni di massa» sia stata inserita nell’ambito «socio-economico». «Socio» magari ci potrebbe anche stare (per quanto tirato un po’ per i capelli), ma «economico» proprio no. Da sempre i poeti non hanno inciso sull’economia, da (lungo) tempo neppure sulla società. Ha ragione Montale a dire che in un «paesaggio» culturale di «esibizionismo isterico» televisivo il «posto della più discreta delle arti» può diventare invisibile. E giustamente Raboni di fronte all’alternativa secca se la poesia sia ancora viva o no ha la «reazione istintiva» di stringersi nelle spalle e di «cambiare discorso». Non c’è bisogno di evocare, come fa Conte, scenari apocalittici e di andare a cercare, un po’ a caso, gli «assassini della poesia» tra intellettuali truffaldini, borghesi corrotti e avvelenatori della «Madre Terra». La poesia non sfiora oggi il mondo perché, come spiega bene Vassalli, non si fa più interprete di «grandi idee», di «grandi emozioni», di «grandi cause (giuste o sbagliate)», come lo ha fatto durante la sua splendida tradizione dall’età dei Comuni almeno fino al Risorgimento; perché non c’è più uno scrittore in versi che abbia tanto fiato per divenire «vate» della «causa palestinese» o delle «sofferenze israeliane», per non citare che due tragedie della nostra orrenda quotidianità. Come sempre nella storia della letteratura non sono i generi a tramontare, sono gli scrittori a dare forfait. Ma legittimamente la poesia può sradicarsi dal presente e vivere di una vita apparentemente grama, che è come quella di certi fiumi sotterranei che saltano poi fuori all’improvviso in tutta la loro forza. Il resto è chiacchiera, «esibizionismo isterico», per dirla appunto con Montale.

La condanna del corruttore

di GIOVANNI RABONI


Si potrebbe obiettare che alcuni frammenti d’una sola scena e un riassunto d’una quindicina di righe offrono un punto d’appoggio un po’ fragile, soprattutto se si tiene conto del fatto che i quesiti non riguardano soltanto il significato della commedia, ma anche il suo linguaggio. Detto questo, mi sembra giusto riconoscere che l’argomento di fondo è importante, e tale da costituire davvero un banco di prova per la «maturità» degli esaminandi. Parallelamente al consueto tema pirandelliano del contrasto fra apparenza e realtà, «Il piacere dell’onestà» ne introduce infatti un altro non meno interessante, quello dei rapporti fra la responsabilità dei corruttori e quella di chi si lascia corrompere. Chi è, tra Fabio e Baldovino, il maggior colpevole? Pirandello non ha dubbi nell’additare il primo; e non tanto perché, mentre Baldovino finisce col sublimare il proprio errore, Fabio, cercando di farlo fuori dopo averlo usato, aggiunge nefandezza a nefandezza, quanto perché il corrotto ha l’attenuante d’aver agito in condizioni di grave bisogno materiale. Aggiungo che il problema etico che ne risulta è tutt’altro che privo di attualità e che la risposta adombrata da Pirandello va decisamente contro corrente rispetto alla morale tuttora invalsa; basti pensare a come, nell’Italia di questi anni, il disprezzo dell’opinione pubblica abbia colpito assai più i percettori che gli elargitori di «tangenti». Per quanto riguarda, infine, il linguaggio, manca purtroppo nella «traccia» qualsiasi accenno ai rapporti lingua-dialetto; mi auguro che qualche candidato abbia supplito alla lacuna osservando che dal punto di vista formale la maggiore novità del teatro pirandelliano sta proprio nell’aver cercato di introdurre nei dialoghi l’immediatezza e la vivacità presenti, prima di lui, solo nel grande teatro dialettale.


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Date: 19 Jun, 2003 on 06:36
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