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Maturità, quel rito tra incubo e iniziazione
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1. Maturità, quel rito tra incubo e iniziazione
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da Repubblica.it

Da domani iniziano gli esami nelle scuole superiori
per circa mezzo milione di studenti

Maturità, quel rito tra incubo e iniziazione
di FRANCO CORDERO

C'ERA una volta il Ginnasio: in greco, palestra, dall'aggettivo gumnós, nudo, poi luogo d'humanitas. Nel vecchio sistema scolastico, ribadito dalla riforma Gentile, 1923, è una scuola secondaria quinquennale propedeutica al liceo che schiude le porte dell'università, altrimenti inaccessibile: nel giugno 1939, uscito dalle elementari cuneesi, sostengo l'esame d'ammissione.

Quattro mesi dopo incipit schola e vale la pena dire che aria vi spiri, perché siamo l'ultima classe del vecchio ginnasio inferiore, estinto nella riforma Bottai (l'annuncia una Carta votata dal Gran Consiglio, 12 gennaio 1939); nel luglio 1940, infatti, nasce la Scuola media unica, comune ai futuri laureati, ragionieri, geometri, periti, maestri elementari.

La nostra materia capitale era il latino, che i nuovi programmi diluiranno: analisi logica, declinazioni, verbi; il resto della grammatica in seconda, dove impariamo la prosa su Cornelio Nepote. L'ormai vecchio Annibale, ospite del re Prusias in Bitinia, sente i sicari romani: un bambino nota movimenti sospetti e l'avverte; vistosi perso, beve il veleno che porta con sé; "sic vir fortissimus", dopo tanta gloria faticosa, "anno acquievit septuagesimo".

Conta altrettanto l'italiano: letture, riassunti, componimenti; non è più l'epoca delle poesie a memoria; tiene banco lo spiritoso Massimo d'Azeglio, I miei ricordi. L'anno dopo scopriamo un'incantevole Odissea. La lingua straniera è il francese, mentre studiano tedesco le femmine, così brutalmente chiamate.

Terza ginnasio segna un salto nella qualità dell'apprendimento: sintassi latina, De bello Gallico, l'Iliade tradotta da Vincenzo Monti; che perfetta ratio studiorum, fosse meno marginale la matematica. Quarta, 1942: traslochiamo dall'ex convento delle clarisse nella città vecchia all'arioso palazzo nuovo sull'altipiano ancora agreste, davanti a una "bialera" verso Torre Bonada, sotto lo scenario delle Alpi Marittime; è l'anno del greco; Ovidio, le Metamorfosi; dopo l'Iliade, Eneide.

In quinta, il secondo libro della stessa, testo latino ("Conticuere omnes, intentique ora tenebant": Enea racconta come sia finita Troia), e Gerusalemme liberata. Non vigono privilegi classisti: a pari talento, i figli dei contadini o piccoli bottegai riescono bene, più impegnati degli enfants gâtés, né costituisce un handicap l'uso domestico del dialetto; semmai l'italiano imparato suona meglio. L'humanitas sviluppa quadri mentali d'alto rendimento: al Politecnico chi viene dalla maturità classica risente d'un deficit matematico, poi però rimonta i provenienti dal liceo scientifico; quante volte l'ho sentito dire. La sintassi discrimina chi pensa meno bene ed emette fumi verbali.

I cinque anni finiscono nel maggio 1944: poco dopo, la macabra repubblichina mussoliniana veste tre giorni a lutto, essendo caduta Roma; gli Alleati sbarcano in Normandia; la fine pare prossima, invece passeranno ancora 11 mesi. Lo squadrista homme de lettres cattolico Bottai, ex boiardo onniloquente, adesso acquattato nella Legione Straniera, voleva una scuola che riempisse l'intero spazio psichico secondo i modelli del regime (nome santo, allora). S'illudeva: latino e greco iniettano agli scolari razionalità, rigore, economia verbale, discorso pulito, pensiero laico; nessuno piglia sul serio i riti pseudoguerreschi del sabato; l'opzione antifascista risulta naturale nel climaterio 1943...

Autunno 1944, ultimo della guerra. Siamo liceali: e liceo significa filosofia greca; Ulisse evoca i morti, XI Libro dell'Odissea; egloghe virgiliane; Tacito, De vita Iulii Agricolae, disseca le perversioni conformistiche in una lingua ostica alle anime morte; coltiviamo le storie, letteraria, politica, dell'arte, e l'Inferno; equazioni, teoremi, botanica, zoologia. Annus mirabilis d'avventure intellettuali.

In sei mesi, approfittando della congiuntura, mi svolgo i programmi della seconda: dal Rinascimento a Kant; scalo la montagna del Purgatorio; Georgiche, Odi oraziane e relativa metrica, lirica greca, Demostene contro i filomacedoni. La guerra è finita da poche settimane quando salto in terza. Ormai sono un rentier fannullone: l'ultimo anno se ne va in passatempi poco seri, inclusa un'effimera fortuna politica perché i socialisti m'hanno promosso sul campo oratorio, ma gli abiti acquisiti restano: le ruote dell'italiano, latino, greco girano da sole; e lo storico della filosofia, benevolo, mi considera suo interlocutore.

Primavera 1946, l'Italia è ancora una monarchia impersonata dal Luogotenente: riappare l'esame di maturità; sospeso dall'anteguerra, vive nelle iperboli della memoria collettiva; fatica erculea, dicono, notti bianche, studio matto. L'adoucissement è che la materia triennale non vada intesa nei particolari minimi e abbiamo esaminatori locali, esclusi gli autori dello scrutinio, dove pagavo l'anno prodigo con lƎ in scienze naturali, un punto meno del futuro ministro democristiano, studioso, bienséant, fine letterato.

Sei settimane rabberciano molte lacune. Gli scritti partono male, con un tema su Manzoni, del quale non so niente, tanta antipatia m'avevano ispirato "Ei fu. Siccome immobile", ecc. e un paio d'Inni sacri inghiottiti nelle elementari: l'altro è una massima mazziniana; faute de mieux, sudo fredde e secche riflessioni, mentre l'antagonista vola nei Promessi sposi.

Sono in ballo le simboliche mille lire del premio intitolato ad Alice Schanzer Galimberti, cattedratica anglista, madre dell'eroe partigiano: dall'anteguerra il preside lo consegna davanti alle classi nell'incipiente anno scolastico; insegnava scienze naturali, vecchio signore colto e solitario; stringeva il cuore vederlo nell'orbace coatta del carnevale fascista. Quando me lo consegna, ottobre 1946, sto già a bottega da un avvocato. Ha rotto lui l'ex aequo col futuro ministro invertendo quei due voti.

Così ricordo la maturità: giocavo con delle perle, di vetro, commentano epuloni sogghignanti; vero, nelle mercuriali del successo è arte povera ma viene utile se, navigando sulla sintassi, uno esce onorevolmente incolume dalle tempeste del praticismo gaglioffo.

(21 giugno 2005)


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Date: 21 Jun, 2005 on 11:47
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