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662 del 01.07.1997- ISSN
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Normal member in Educazione&Scuola
posts: 1 since: 10 Nov, 2002 |
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Conosco Giancarlo Cerini dagli anni ྂ. Egli è sempre stato un docente prima ed un dirigente scolastico poi, affabile, aperto al dialogo, pronto alla ricerca dei punti di convergenza e d'equilibrio. Teso più a ricercare gli elemendi condivisi e di condivisione piuttosto che sottolineare le asprezze dei dibattiti e delle ricerche culturali. Un "buono" insomma, un uomo sì, a suo modo schierato, ma pronto a cercar di capire l'altro. Commuove, pertanto, ch'egli prosegua, anche oggi su questa via in un patetico, sia pur appassionato e minuzioso, intervento sulla riforma morattiana della scuola (Vedi "Serve un "bel gesto"). Anche con la riforma Berlinguer si poté assistere ad identica performance: tentativi di spiegare la buona fede, il suo saper cogliere anche i minuti elementi di una qualche positività, il vedere lontano , là oltre la siepe, dove gli sguardi degli "irriducibili" non osano e non volano. Per capire il percorso mentale di Giancarlo Cerini si potrebbe partire dalle sue letture, dalle sue preferenze, diciamo così, pedagogiche, dagli orientamenti politici, dagli elementi caratteriali che ne fanno un uomo amabile, facile da avvicinare, pronto all'ascolto ma, è giunto il momento di dirlo, pericoloso nell'attuale fase politica. Qual è il "pericolo" che Giancarlo Cerini rischia d'immettere nel dibattito sulle riforme della scuola? Cerini vuole evitare, questo è chiarissimo in ogni sua pagina, il muro contro muro, ritenendo che questo sia quanto di più deleterio possa darsi per la scuola. Egli vive in modo altamente istituzionale tutta la bagarre che s'agita fra i vari fronti, crede che la scuola pubblica sia uno spazio di tutti e per tutti e che, pertanto, la parola di tutti abbia eguale dignità. Identica cosa si avverte anche in un documento per certi aspetti similare ("Dalla parte della scuola tra bibartisan e spoil-system" di Beatrice Mezzina). Questo sarebbe forse vero se tutti giocassero attorno al tavolo senza barare. Ma le cose non stanno affatto così. La ministra Moratti bara eccome! Così come barano tutti i corifei della carta stampata e dei media radiotelevisivi che "piangono" lacrime di coccodrillo per la mancanza di fondi per la riforma della scuola. Ma scherziamo? La riforma Moratti non costa proprio nulla! Anzi fa risparmiare un bel po’ di quattrini. Le pennellate pseudopedagogiche ammantate di qualche spruzzatina "idealistica" (così da far sperare a qualche superstite gentiliano d'essere di nuovo in paradiso) hanno l'unico scopo di azzerare il processo di cammino pedagogico svolto dalla scuola italiana dagli anni ླྀ in poi, di preparare il paese agli accordi già firmati in sede di WTO (leggi apertura al mercato privato dei servizi pubblici: acquedotti, energia elettrica, sanità, scuola, ecc). di ridurre a zero il dettato costituzionale sulle pari opportunità e i pari diritti all'istruzione. Il menefreghismo sempre più evidente nei confronti dell'handicap, l'aspirazione a rompere con il criterio e la cultura della collegialità, il piacere d'introdurre sempre più criteri gerarchici all'interno del personale della scuola, l'attacco a fondo all'istituzione più "sociale", il Tempo Pieno, sono tutti elementi che emergono non da una "critica ideologica o preconcetta" come ama dire Cerini, ma indubitabili conclusioni cui si approda inevitabilmente solo che si confrontino i profili dei documenti di riforma con la realtà attuale della scuola. Mai, però, si sente affermare, da Cerini od altri come lui, che se questa accelerazione iconoclasta s'è abbattuta sulla scuola, ciò è accaduto perché qualcun altro, qualche portoncino, spioncino e talora delle vere cateratte, le ha aperte ben prima della Moratti. Vogliamo parlare di riduzione del numero dei docenti di supporto alle classi per l'inserimento di soggetti handicappati, d'ostilità all'esperienza del Tempo Pieno, di continuo aumento d'allievi per le classi? Di confusione sui criteri culturali e contenutistici dei programmi? Un esempio per tutti: l'insegnamento della storia e della geografia dove assistiamo a proposte di riforma peggio che quelle vissute negli Stati Uniti. Certo dobbiamo indubbiamente domandarci del come e del perché vi siano molti allievi ostili a tali discipline, ma l'ostilità se può essere segno di cattiva metodologia propositiva, non significa che debba portare a scelte così riduzionistiche. Come se poi lo sviluppo mentale dei bambini non necessitasse, negli anni successivi dell'adolescenza, di riprendere in mano percorsi e suggestioni per riempirli nuovamente d'analisi e di contenuti. Troppo spesso, è vero, l'insegnamento si è ridotto a mettere insieme, uno dopo l'altro tanti mattoncini, nell'illusione di creare una casa sempre più grande, mentre, probabilmente si costruiva un grande cimitero. La rozzezza politica, culturale ed umana di tanti nostri amministratori, onorevoli e "presidenti" dovrebbe indurci a qualche riflessione sul "fallimento", almeno parziale, della scuola italiana (anche di quella privata!), ma le soluzioni sono quelle di buttar via il bambino con l'acqua sporca? E l'ossessione del bisogno di rispondere all'utenza? Altra balla con cui si vorrebbe far passare l'istituzionalizzazione precoce di bambini di due anni e mezzo e cinque. Berlinguer, anche lui, affermava che in fondo lui era andato a scuola a cinque anni. Allora mi veniva spontaneo pensare: ma allora! Vuoi vedere che…? Il problema è che nessuno si domanda perché in quest'era così tecnologica, dove tutti dovremmo sempre più affrancarci dal lavoro, si lavori sempre più come matti. I genitori, i bambini, gli insegnanti. Tutti costretti a tour de force incredibili. Si portano i bambini al prescuola perché fra le 7,30 e le 8,30 non si sa dove lasciarli, si ritirano quando si può, a scuola, a scuola! A scuola! Il Tempo Pieno aveva storicamente cercato di saldare queste difficoltà, offrendo un tempo scolastico disteso e conclusivo per l'esperienza quotidiana dei bambini. Eppure anche dentro il tempo pieno si affacciavano domande su ciò che i genitori vivevano all'esterno. La risposta non è stata, da parte delle istituzioni, nel tempo, di aiuto, di supporto, di comprensione, ma, anche dentro le esperienze di tempo pieno, di sempre più acuta compressione! (mense inadeguate, spazi ristretti, insomma scuole più all'Amadori, quello dei polli, che alla Montessori, tanto per citarne uno). Questa compressione poi si è spostata a tutta la dimensione scolastica. Certo occorreva una revisione e un recupero di rigore, anche metodologico, ma qui siamo allo "svaccamento" culturale. Alla scuola si delega sempre più e nessuno sembra domandarsi cosa stia accadendo al tessuto sociale, cosa ne stiamo facendo dei nonni, dei fratelli (specie in estinzione). Ma è poi mai possibile affrontare la riforma della scuola senza mai affrontare una riforma del mercato del lavoro. Non ci si accorge che sono proprio le riforme già in atto e quelle che seguiranno, del mercato del lavoro che porteranno la scuola a farsi ancella di un disastro sociale da cui nessuno potrà uscirne salvo e innocente. Non si può continuare a vedere solo l'orto della scuola facendo finta che il mondo al di là della strada non sia il primo motore e l'agente che in essa si specchia. Stiamo costruendo una scuola così spezzettata, banale e disperata come la vita spezzettata, banale e disperata degli uomini e donne a tempo determinato, COCOCO, schiavi del capolarato interinale. Di questo sarebbe ora parlassimo, la scuola non può e non deve farsi serva di tali condizioni. Chi gioca al tavolo è un baro, le sue carte sono truccate, non ha in mente di bere un "bianchetto" con noi alla fine della partita, ma sogna i bei beveroni all'olio di ricino. No, caro Cerini, con costoro nessun gioco è possibile, dobbiamo, francamente, mandarli a casa il più presto possibile ma chi li sostituirà dovrà far tesoro di tutto quanto è accaduto, recitare qualche "mea culpa" e chiedere scusa al paese e, soprattutto, ai bambini. Gabriele Attilio Turci
Docente della Scuola di Stato
Gabriele Attilio Turcigabriele.turci@poste.it
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Date: 10 Nov, 2002 on 17:34 |
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